Pandemia e crisi del settore musicale: si sopravvive con la tecnologia.

Nei salotti sanremesi stiamo incontrando tanti addetti ai lavori ed è inevitabile parlare della dura crisi che ha portato la pandemia in tutto il settore musicale. Come si sono organizzati gli artisti per non rinunciare alla creatività? Ecco cosa ci ha detto l’avvocato Giorgio Tramacere, incontrato a Casa SIAE, un padiglione dedicato al diritto d’autore, situato di fronte all’Ariston

di Tiziana Pavone

Che effetto ha avuto la pandemia nel settore musicale e dello spettacolo?

La pandemia ha avuto nel settore dello spettacolo un effetto devastante che ha messo in ginocchio tutto il settore della musica e dello spettacolo. Il lockdown e la chiusura forzata delle attività hanno provocato una crisi irreversibile, che ha causato sfratti, fallimenti e la chiusura di tante aziende e negozi. Penso che il settore dello spettacolo sia stato quello che abbia subìto in assoluto i danni più rilevati, portando tanti addetti ai lavori alla disperazione e all’impotenza. L’indifferenza che i nostri governanti hanno dimostrato nei confronti di chi lavora nello spettacolo, nella musica e nella cultura in generale è a dir poco imbarazzante.

Ma non sono stati stanziati dei ristori?

Ridicoli rispetto agli altri paesi. Sono certo che i governanti non abbiano avuto nemmeno la minima idea degli effetti e dell’entità dei danni che hanno provocato con i vari provvedimenti restrittivi. Vedere poi che i Paesi con noi confinanti hanno stanziato per le imprese centinaia di miliardi per evitare le chiusure – e diritti al rimborso fino al 75% del fatturato, come la Germania – è ancora più avvilente. I nostri teatri, le discoteche, le scuole di ballo e le imprese che lavorano nel settore hanno percepito soltanto ristori di minima entità, che non hanno portato alcun beneficio. La crisi ha provocato tanti contenziosi con gli istituti di credito, che hanno azionato i loro crediti nei confronti di queste imprese svuotate e inermi, tanto che alcune di queste sono state costrette a chiudere i battenti.

Che cosa è cambiato nella musica? Il distanziamento che effetti ha avuto?

Già dalla prima quarantena di marzo-aprile 2020 tanti italiani si sono reinventati e organizzati per sopravvivere. Per alcuni la pandemia ha avuto un’effetto creativo e hanno dato vita alle attività più disparate on-line. Anche noi avvocati siamo stati incaricati di risolvere e regolarizzare alcune singolari iniziative. Alcuni hanno attivato corsi da remoto, altri hanno organizzato concerti da remoto, altri ancora hanno creato portali tematici, scuole di ballo hanno dato vita addirittura a lezioni di ballo a distanza, gli studi di registrazione di sono organizzati per lavorare da remoto collegando tra loro due studi posti anche a centinaia di chilometri di distanza, in modo da lavorare simultaneamente sullo stesso progetto. Ricordo che la responsabile dell’Ufficio Multimedialità mi disse: “avvocato, non ha idea di quello che si stanno inventando gli italiani!”.

Quindi cambiato il modo di collaborare e di fare musica durante la pandemia?

Si. Come dicevo, grazie alla tecnologia oggi è possibile lavorare a distanza sul medesimo progetto e operare contemporaneamente da due studi diversi. Questo modo di lavorare è stato adottato per necessità, a causa delle misure restrittive causate dalla pandemia, ma penso che continuerà a essere utilizzato anche dopo la fine della restrizioni, perché la possibilità di poter lavorare in contemporanea da due studi diversi è ormai diventato un vantaggio irrinunciabile.

Di fatto, la tecnologia e le varie piattaforme di comunicazione hanno avuto un ruolo fondamentale in tutte le attività in cui gli italiani si sono reinventati.

Secondo te la musica potrà essere composta dall’intelligenza artificiale?

È già da diversi anni che si parla di intelligenza artificiale anche per creare una composizione musicale. Premesso che il concetto di musica artificiale fa star male qualsiasi musicista, precisiamo subito che la scienza non potrà mai sostituire l’estro creativo umano e la sensibilità di chi crea musica. L’applicazione dell’intelligenza artificiale alla musica a prima vista sembra non avere senso, ma in effetti non è così. Infatti, se partiamo dal concetto che l’opera dell’ingegno è il risultato del lavoro creativo di un autore, dotato originalità di forma e contenuto, possiamo indubbiamente ritenere che anche il lavoro di programmazione di un software (da parte di un musicista) possa essere considerato un’attività intellettualmente creativa e originale, il cui risultato può trasmettere emozioni e messaggi all’ascoltatore.

Il primo software in grado di comporre musica l’ho visto negli anni 90. Era un software arcaico, tramite cui tu potevi immettere dei parametri numerici e dare delle regole al programma, che ti generava delle sequenze in base alle regole immesse. La programmazione del software presupponeva però la conoscenza dell’armonia e della composizione. Oggi ci sono molti software  che permettono all’autore di generare musica più facili da utilizzare, ma è sempre necessaria una conoscenza musicale e l’apporto creativo dell’uomo.

Foto di Tiziana Pavone